Corradino d’Ascanio, l’abruzzese che inventò la Vespa

Molti non lo sanno, ma l’inventore della Vespa è un abruzzese!

Corradino d’Ascanio (Popoli 1891 – Pisa 1981) è sicuramente una delle menti più brillanti e visionarie che l’industria delle due ruote a motore abbia mai conosciuto. Non è sua la paternità del veicolo scooter (ci sono stati altri esempi, anche prima della Seconda Guerra Mondiale), ma è sicuramente sua la realizzazione più geniale, utile ed anche bella del più cittadino dei veicoli: la Vespa.

Corradino d’Ascanio, genio d’Abruzzo.

Di Vespa ne sono state costruite oltre 17 milioni di esemplari, ma paradossalmente D’Ascanio la considerava la sua “rovina”. Perché il successo dello scooter più famoso al mondo aveva, di fatto, impedito alla Piaggio di continuare a finanziare gli studi sull’elicottero, la vera ragione di vita e il sogno dell’ingegnere abruzzese.

“L’aviazione è stata per me una continua febbre. Fin da bambino volare era per me il sogno più bello e accarezzato. Per ore stavo a guardare le rondini e le invidiavo”. Così diceva l’ingegner Corradino D’Ascanio, che prima di diventare il progettista della Vespa aveva costruito vari prototipi di elicottero ed è oggi riconosciuto come uno dei padri di questo oggetto molto complicato e ingegneristicamente molto impegnativo.

Corradino d’Ascanio fu anche un grande inventore che spaziò da oggetti come il distributore orario di sigarette (fatto per se stesso, per cercare di fumare meno) a un sistema per monitorare automaticamente l’inclinazione degli aeroplani lateralmente e nel beccheggio, a un forno elettrico per la cottura del pane, a una macchina per la ricerca e la catalogazione dei documenti, al segnalatore di eccesso di velocità e anche all’embrione della cyclette. Per spingere ancora di più le vendite della Vespa, progettò persino degli espositori “magici” che facevano apparire lo scooter sollevato da una colonna d’acqua oppure in equilibrio su un ramo di pesco (con un adeguato contrappeso ben occultato alla base) sino a far correre letteralmente la Vespa senza nessun sostegno su un sottile filo metallico grazie a un giroscopio che la teneva in perfetto equilibrio… una vera magia!

Il successo della Vespa

Perché la Vespa ha avuto un così grande successo planetario? Non è facile rispondere a questa domanda. Venne presentata per la prima volta a Torino, il 14 marzo del 1946, alla mostra della Meccanica e Metallurgia, poi in pompa magna a Roma, al Golf Club, e venne venduta nelle concessionarie Lancia perché si pensava che fosse più adatta a un utente non motociclista. Prima di offrirla alla casa automobilistica venne chiesto ai Parodi, i proprietari della Moto Guzzi, di proporla nella loro rete commerciale, ma gli armatori genovesi non la ritennero interessante per i loro clienti. La Vespa 98 poteva essere acquistata anche a rate, costava 55.000 lire (lo stipendio medio di un operaio era di 10.000 lire) per il modello Normale e 61.000 lire per quello lusso, che differiva dallo standard per il manubrio cromato e i listelli della pedana con il profilo gommato. All’inizio non riuscì subito ad attirare i motociclisti per via del pregiudizio delle ruote piccole, che non garantivano la stabilità di quelle più grandi da moto, e non interessava gli automobilisti che potevano permettersi più comode e stabili quattro ruote in un’Italia dalle strade massacrate dalla guerra. Però, rispetto a quanto si è sempre detto, non è vero che la Vespa all’inizio fu un insuccesso, tanto che ne furono costruite 15.239 esemplari nei suoi tre anni di produzione. È vero, invece, che se ne costruirono poche per la mancanza di materie prime e di macchinari adatti allo stampaggio delle scocche.

La prima Vespa 98 restò in produzione due anni, poi arrivò la 125 e cominciò veramente la grande diffusione e la fantastica storia che continua ancora oggi si comincia ad apprezzare la razionalità, la robustezza, l’affidabilità e l’economia di esercizio. Ovviamente, la Piaggio sostenne il suo prodotto con azioni che oggi chiameremmo di marketing, come i club, i raduni, la partecipazione alle gare più dure come la Sei Giorni. Torniamo però un passo indietro e alle considerazioni di D’Ascanio su quello che doveva essere la Vespa. L’ingegnere abruzzese voleva avere carta bianca da Enrico Piaggio: assolutamente acerbo di motociclette (anche se il suo primo aereo aveva come motore un bicilindrico Harley-Davidson), Corradino D’Ascanio aveva pensato la Vespa come un veicolo adatto a chi era digiuno di ruote a motore, indicato anche per il pubblico femminile. Così nacque il cambio al manubrio dove bastava ruotare la leva per innestare la marcia, non occorreva scavalcare un serbatoio per salire in sella, non c’erano cavi e catene in vista che potevano rompersi, la completa carenatura non sporcava gli abiti e le ruote erano facilmente smontabili per riparare alle forature. E poi, ottimizzando le sue esperienze aeronautiche, studiò una scocca di metallo, quindi robusta e facilmente riparabile, al posto del telaio, la ruota anteriore prese lo spunto dal carrello anteriore degli aerei. Tutto lo scooter fu progettato pensando a una realizzazione in grandi numeri, in modo da essere il più economico possibile, tanto è vero che Piaggio, senza avere in mano anche un solo ordine, ne previde la produzione di 10.000 pezzi.

“È un veicolo che a differenza della motocicletta vera e propria può andar bene per tutti i ceti sociali e per ambo i sessi. La sua struttura non implica acrobatismi per salire in sella e non impegna affatto per mantenerla in equilibri a velocità ridotta in mezzo al traffico”. Così scriveva “Motociclismo” sul fascicolo dell’aprile del 1946 e proprio questa facilità della guida, che la caratterizza ancora oggi, portò al vero successo la Vespa.

Sulle origini del nome Vespa si sono scritte molte “verità”, come quella del rumore di scarico simile a quello prodotto dall’insetto, ma la più accreditata è quella riferita al fatto che Enrico Piaggio, vedendola con quella sua codona e la vita sottile cavalcata da un robusto collaudatore, abbia detto “reggerà il peso con quella sua vitina da vespa?”.

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